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Levini Felice
Non c’è
Talvolta l’arte è sogno sostenuto che interroga l’invisibile per cercarvi risposte all’esistenza ricorrendo ad un linguaggio proprio, fatto di immagini e parole che appartengono alla dimensione che abitiamo, quella terrena e visibile. È il gioco degli specchi, in cui ciò che appare irreale è il rovesciamento del reale liberato dalle sue scorie per portare con sé tasselli di verità infinitesimali. È questa l’essenza del lavoro di Felice Levini a VOLUME!, in cui utilizza lo spazio senza trasfigurarlo per costruire un luogo ideale, poetico e metafisico. Inventa una scatola ottica, una macchina anagrammatica della realtà, che porta con sé questioni sull’esistenza. All’interno di essa una sorgente, simbolo della continuità del tempo, dell’inizio e della fine delle cose, il mitico cavallo alato Pegaso, come necessità di non soccombere alle paure inconsce per combatterle con la riflessione, ed infine la domatrice di pulci, quale impossibilità di ammaestrare la natura, sono le indicazioni di Levini per preparare all’ultimo stazionamento. Qui l’artista allestisce una pittura tridimensionale con un pavimento a scacchiera e con un trono in bilico, su cui campeggia il grande dipinto del Papa rivolto di spalle con la scritta sibillina che dà il titolo all’intera opera. Non c’è non è la risposta finale ma è affermazione lapidaria che racchiude il mistero dell’esistenza, che nella sua incommensurabilità non può essere afferrata né dalla parola né dall’arte.