2017
luca lagash + alex cremonesi
IO PUTTANA
Siccome io non spiego
Che cos’è l’amore
Ad ogni mio cliente
Che mi paga ad ore
Tu non raccontarmi
Cos’è una canzone
Ma dammi tre minuti
Che siano un’emozione
Siccome io non spiego
Che cos’è l’amore
A ognuno che mi prende
A ognuno che mi vuole
Tu non raccontarmi
Cosa pensa un cantautore
Ma dammi un ritornello
Spalancato sul mio cuore
Si continua a girare intorno all’oggetto del nostro amore, della nostra devozione con le parole, anziché sperimentarlo veramente.
Gli angeli trascorrono la loro esistenza facendo uno strepito che per noi è silenzio.
L’opera d’arte è l’inesplicabile dove tutto si spiega. È percepire lunghezze d’onda che alla coscienza comune non arrivano. Ciò che per tutti è muto è in realtà una voce, ciò che è silenzio è in realtà frastuono, perciò la parola che spiega è ridondante. Lo stesso Demiurgo che ha attuato la creazione non ha certo avuto bisogno di spiegarla.
In ebraico esistono due lati della parola: la amirà, la Parola che solo i Profeti possono cogliere; poi c’è il dibbur, che rappresenta quanto è detto in maniera percepibile.
C’è una formula usata di frequente dai Maestri: ki-vjakhol, “se così si può dire”. È una clausola di cautela, la quale avverte che il linguaggio raffigurando falsifica, e non può andare oltre l’allusione. È l’idea espressa da Kafka al termine del suo breve racconto intitolato “Prometeo”: “La leggenda tenta di spiegare l’inesplicabile. Poiché nasce da un fondo di verità non può che finire nell’inesplicabile”. Nel silenzio dell’inesplicabile.
È quanto esprime anche l’Infinito di Giacomo Leopardi, di cui Francesco De Sanctis scriveva: “Innanzi a lui non ci sono idee, ma ombre delle idee, non c’è il concetto dell’infinito e dell’eterno (...) perché non giunge fino al concetto e non dà alcuna spiegazione, vi alita per entro un certo spirito misterioso, proprio delle visioni religiose”.
Qui infatti non sono le lontananze dell’orizzonte a suggerire l’infinito ma anzi la loro esclusione, è la siepe che esclude l’orizzonte a darne il senso. È il limite vicino, posto dalla siepe, a preservare al nostro sguardo ravvicinato l’infinità dell’infinito. L’orizzonte sarebbe una falsa icona dell’infinito, in quanto non infinito. Così come tradizionalmente l’antico veggente non ha vista acuta, anzi è solitamente cieco; il profeta che opera con la parola non ha facilità di eloquio, anzi è balbuziente, impedito nel parlare, secondo il modello di Mosè, di Isaia, di Giona. È l’opera e non la parola, l’eloquio, la spiegazione su di essa a raffigurare la verità.
Gogol a suo tempo scriveva: “Io non voglio insegnare per mezzo dell’arte, l’arte è già un insegnamento”. Significa che, in un certo senso, è già simbolica. Spesso noi vorremmo che nelle nostre opere l’insegnamento fosse posto in primo piano, dimenticandoci del fatto che l’Arte è già questo. Non deve essere edificante, non deve essere retorica, non deve istruire, perché non vi è niente di peggiore di un uomo che ammaestra un altro.
INFO:
15 settembre h 19:00 - 16 settembre h 19:00
luca lagash + alex cremonesi
IO PUTTANA
Fondazione VOLUME!
via San Francesco di Sales, 86/88
00165 Roma
Tel. 06 6892431
Sito: www.fondazionevolume.com
Ufficio Stampa: Roberta Pucci – 340 8174090 press@fondazionevolume.com
- Mostra: IO PUTTANA
- Anno: 2017
Paolo Icaro
La Fondazione VOLUME! presenta Respiro, all'interno dell'esterno dell'interno…, un progetto di Paolo Icaro, a cura di Claudia Gioia, ideato appositamente per gli spazi di Via di San Francesco di Sales.
Paolo Icaro (Torino, 1936), protagonista delle ricerche artistiche degli anni Sessanta, ha assunto da subito una posizione originale nella storia dell'arte italiana e internazionale; vicino all’esperienza dell'Arte Povera ha sviluppato un proprio linguaggio che rinnova la definizione stessa di scultura.
Vissuto tra Roma, Torino, New York e Genova, trasferisce questa sua attitudine nomade alla ricerca sui materiali e sulla forma, sperimentando il divenire dell'azione scultorea in relazione allo spazio.
Per la Fondazione VOLUME! Icaro sceglie di interagire con la storia e la natura emotiva degli ambienti, con la superficie bianca e le sue stratificazioni di senso che evocano le infinite possibilità proprie di un materiale come il gesso, utilizzato in molte delle sue sculture.
L’artista riveste l’interno degli spazi di Via di San Francesco di Sales con teli di polietilene che accarezzano le pareti di VOLUME! facendosi epidermide sensibile e reattiva ad ogni alito di vento e al passaggio dello spettatore. Trasparenze e sovrapposizioni animano lo spazio che, attraverso l’intervento dell’artista, si trasforma in un luogo vivo, capace di restituire la memoria custodita dalle sue pareti.
In questa occasione l’artista reinterpreta alcuni elementi classici della sua poetica, continuando il percorso di sperimentazione sui materiali e sulla spazialità. L'uso della plastica, infatti, ricorda l'intervento realizzato a Roma nel 1968 per il Teatro delle mostre alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis, quando decise di ritmare lo spazio espositivo con un telo di polietilene fustellato ( Buchi 1.000.000 + 1, 1968). E il lavoro Tenda nera (1968) dipinto da Icaro fino all'altezza massima raggiunta dalle sue braccia, con questo gesto l’artista trasforma il proprio corpo in unità di misura della superficie.
Mantenendo costante la sua attenzione alla percezione, ora Icaro propone un lavoro che, muovendosi sul fragile equilibrio tra opacità e trasparenza, accompagna lo spettatore in un'esperienza di attraversamento delle emozioni e dei ricordi. Veste e allo stesso tempo smaterializza lo spazio, procedendo per sottrazione elimina ogni inciampo e lascia che il tempo, sedimentatosi sulla ‘pelle’ di VOLUME!, diventi superficie liquida in continuo movimento. La scultura di Icaro dà vita a nuovi spazi e, liberata da aspirazioni di immutabilità ed eternità, ribadisce ancora una volta il legame tra arte e vita.
Paolo Icaro (Torino, 1936. Vive e lavora a Tavullia, Pesaro) partecipa negli anni Sessanta alla stagione germinale dell’Arte Povera e prende parte alle mostre più significative di quegli anni come:Arte Povera – Im Spazio, Galleria La Bertesca, Genova (1967); Teatro delle mostre, Galleria La Tartaruga, Roma (1968);Arte Povera più Azioni Povere, Amalfi (1968); Op Losse Schroeven. Situaties en cryptostructuren, Stedelijk Museum, Amsterdam (1969); When Attitudes Become Form, Kunsthalle Bern, Berna (1969). Nel 1971 si trasferisce negli Stati Uniti, in Connecticut, dove avvia una riflessione ambientale e performativa della sua pratica scultorea, vicina alle correnti dell’arte concettuale e dell’arte processuale. A partire dagli anni Ottanta, dopo il suo rientro in Italia, tiene numerose mostre personali in istituzioni quali: PAC – Padiglione d'Arte Contemporanea, Milano (1982); Palazzina dei Giardini, Modena (1987); Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento (1995). Nel 2011 partecipa alla 54. Biennale di Venezia. Nel 2014 realizza la mostra personale Appunti di viaggio 1967-2014 presso Peep Hole Milano. Nel 2016 è stato invitato alla XVI Quadriennale d’Arte di Roma e alla mostra L’Inarchiviabile, curata da Marco Scotini presso i Frigoriferi Milanesi. Sempre nel 2016 la monografia Faredisfarerifareevedere, curata da Lara Conte, è stata pubblicata e distribuita da Mousse Publishing. Recentemente ha inaugurato il suo progetto Un prato in quattro tempi presso il Chiostro dell’Università Statale di Milano.
- Mostra: RESPIRO, ALL'INTERNO DELL'ESTERNO DELL'INTERNO...
- Anno: 2017
- Curatore: Claudia Gioia