2004

Abramović Marina

Abramović Marina

Marina Abramović si relaziona agli spazi di VOLUME! attraverso il risultato del workshop da lei tenuto nella scuola di Braunschweig, in Germania;
una performance session che vede protagonisti sette fra i suoi allievi.

L’artista, esponente e precorritrice della body art, propone da sempre una sorta di investigazione che attraverso il medium della performance, riflette intorno ai limiti fisici ed alle potenzialità della mente, esplorando ed allargando i confini fra questi ambiti. Il suo percorso artistico e le innumerevoli collaborazioni con le accademie sono raccolte nell’ultimo libro della monografia che in tre volumi descrive la sua opera, “Student’s Body”, che presentato ufficialmente all’interno della serata, presta il titolo all’azione performativa.
I giovani artisti coinvolti nelle diverse performance, si rapportano allo spazio di VOLUME! interpretandone la struttura, in un dialogo diretto di energie che vede coinvolta l’anima stessa dello spazio, già di per sé contenitore di memorie artistiche e di vitalità creative. Autocontrollo, concentrazione, resistenza fisica e forza di volontà sono i concetti attorno ai quali le azioni si configurano, nell’intento di stimolare l’osservatore ad un coinvolgimento ad un’empatia; in tono con gli obiettivi, ma, come a volerne sdrammatizzare le motivazioni, la coreana Eun-Hye Hwang impone ai visitatori silenzio e compostezza, nel goffo intento di ricreare la severa atmosfera del museo, attirando l’attenzione del pubblico attraverso il suono di un fischietto.

  • Mostra: Performance session.
    Student’s bodies
  • Anno: 2004
  • Curatore: Emanuela Nobile Mino

Arcangelo

Arcangelo

Le ricerche artistiche di Arcangelo da sempre guardano alle pulsioni sotterranee dell’esistenza, all’essenza impenetrabile della terra, quale luogo di origine e di provenienza. Sono riflessioni che l’artista porta con sé negli spazi di Volume! diventandone uno dei tanti volti. Nello spazio espositivo si confronta con la libertà espressiva che il luogo gli consente, realizzando il progetto Terra dei Sanniti. Con esso l’artista dialoga con lo spazio modificandone la fisionomia originaria, rispettando però, la memoria degli interventi precedenti. È una scelta congeniale all’essenza del suo lavoro, trattandosi di riflessioni intorno all’intimità quale serbatoio di immagini archetipiche. Il tutto, nella parte iniziale del percorso, diviene ambiente simile ad una casa, alludendo allo spazio interiore in cui si sedimenta la nostra memoria. All’interno di esso Arcangelo sistema ceramiche tunisine, su cui interviene con labili segni di colore, e cosparge la pavimentazione di terra bruna come richiamo alla Madre Terra, luogo a cui apparteniamo e da cui proveniamo. Uno stretto cunicolo, simile agli antichi vicoli sanniti, fa da passaggio ideale da una condizione all’altra, consentendo all’osservatore di accedere all’ultima sala, offerta come volume bianco in contrasto con il colore nero della terra. Un luogo magico e poetico, in cui la storia si attualizza nel confronto con le precedenti esperienze artistiche inscritte come tracce nella struttura dello spazio.

  • Mostra: Terra dei Sanniti
  • Anno: 2004
  • Curatore: Giacomo Zaza

Laplante Myriam

Laplante Myriam

L’arte, come la magia, la chimica, è capace di provocare negli individui alterazioni della percezione psico-sensoriale, conducendo a visioni altre, spesso sovversive, talvolta estatiche. Miryam Laplante, porta lo spettatore ad una riflessione che segue un doppio binario, quello più sottile, della relazione tra arte e scienza, in merito alla loro funzione sociale, quello icastico di una riflessione sul corpo umano, sulla natura come materia o al suo rapporto con la società, con l’autorità. Introducendo lo spettatore nei meandri di un immaginifico laboratorio di ricerca, Volume! si trasforma, in luogo di sperimentazione, fanno bella mostra strani esseri sotto campane di vetro, alambicchi, bollitori fumanti e teste in formaldeide; ciò che si testa è l’Elisir, siero vivificante, assunto attraverso cannucce da piccoli esseri zoomorfi che sembrano provenire dall’immaginario Borgesiano, mentre, a testimoniare il fallimento della pozione, le loro facce si scarnificano irreversibilmente. Ad aprire la mostra, una performance messa in atto dall’artista, spiega le connotazioni dell’alchimista che, sopravvissuto ad un esperimento, in seguito all’uccisione del suo gemello parassita, opera nell’intento di soggiogare gli esseri che crea, destinati paradossalmente ad una lenta distruzione. Attraverso un paradosso scenico, l’artista affronta una serrata critica ai metodi della globalizzazione, alle egemonie culturali e politiche, alle modificazioni genetiche e a qualsiasi negazione di libertà.

  • Mostra: Elisir
  • Anno: 2004
  • Curatore: Lorenzo Benedetti e Teresa Macrì

Levini Felice

Levini Felice

Talvolta l’arte è sogno sostenuto che interroga l’invisibile per cercarvi risposte all’esistenza ricorrendo ad un linguaggio proprio, fatto di immagini e parole che appartengono alla dimensione che abitiamo, quella terrena e visibile. È il gioco degli specchi, in cui ciò che appare irreale è il rovesciamento del reale liberato dalle sue scorie per portare con sé tasselli di verità infinitesimali. È questa l’essenza del lavoro di Felice Levini a VOLUME!, in cui utilizza lo spazio senza trasfigurarlo per costruire un luogo ideale, poetico e metafisico. Inventa una scatola ottica, una macchina anagrammatica della realtà, che porta con sé questioni sull’esistenza. All’interno di essa una sorgente, simbolo della continuità del tempo, dell’inizio e della fine delle cose, il mitico cavallo alato Pegaso, come necessità di non soccombere alle paure inconsce per combatterle con la riflessione, ed infine la domatrice di pulci, quale impossibilità di ammaestrare la natura, sono le indicazioni di Levini per preparare all’ultimo stazionamento. Qui l’artista allestisce una pittura tridimensionale con un pavimento a scacchiera e con un trono in bilico, su cui campeggia il grande dipinto del Papa rivolto di spalle con la scritta sibillina che dà il titolo all’intera opera. Non c’è non è la risposta finale ma è affermazione lapidaria che racchiude il mistero dell’esistenza, che nella sua incommensurabilità non può essere afferrata né dalla parola né dall’arte.

  • Mostra: Non c’è
  • Anno: 2004
  • Curatore: Lorenzo Benedetti

Maraniello Giuseppe

Maraniello Giuseppe

Uno spazio incompiuto ha un’identità imprecisata che si lascia plasmare in variabile forme. Diviene dimensione altra che eccede la propria fisicità per offrirsi quale fluida realtà al servizio dell’arte, annodandosi con essa in un ideale vortice in perpetuo movimento. Allo stesso modo lo spazio di Giuseppe maraniello smette di essere semplice contenitore e, perdendo le comuni coordinate spaziali, diviene luogo irreale abitato da figure archetipocje della sintetica levigatezza. Guardarle semberebbero le immagini materializzate da arcaiche pittturre rupestri, eppure non alludono ad alcuna collocazione storica esatta. In realtà sno figure intimimamente legate all’ideale ponte spazio/temporale creato dall’artista. Alcune rimangono custodite, come moderni reperti archeologici, in una sorta di fessura realizzata nella pavimentazione, altre invece conquistano l’impalpabile volume di maraniello e sovvertendo le comuni leggi gravitazionali lo occupano, librandosi a mezz’aria o incassandosi per metà nella pavimentazione. Accade soprattutto alla reiterata iconografia della barca che spunta in ogni angolo, come pure in un mosaico dalla semplicità infantile. E’ forse in questo elemento da ricercare una chiave interpretativa, che rimanda all0idea del Grande Viaggio, da non intendere come ritorno al passato ma come necessità di indagare la sedimentata memoria collettiva in cui ritrovare tracce della nostra origine, per sciogliere il nodo gordiano dell’esistenza.

  • Mostra: Sponde
  • Anno: 2004
  • Curatore: Lorenzo Benedetti

Plensa Jaume

Plensa Jaume

Ascolto, osservazione, immaginazione e riflessione, sono i concetti attorno a cui verte l’interpretazione che Jaume Plensa offre a Volume! proponendo ai visitatori un passaggio immersivo e suggestivo che simbolicamente ripercorre il suono dell’interiorità, l’intima pulsione del corpo di un suono preverbale, nella volontà di far emergere l’aspetto comune ad ogni individuo.

Un invito alla comunicazione come superamento delle differenze. Una nuvola rossa, simile ad una materia organica invade gli spazi della galleria, confondendo il visitatore, scandendone il passaggio attraverso la riproduzione di un suono informe, che si chiarifica al sopraggiungere di una chiave di lettura sussurrata, nel mettere a fuoco le lettere degli alfabeti del mondo che scorrono in dissolvenza sul muro. Il suono in questione è quello che l’artista ha registrato, in cinque punti del suo corpo, attraverso un eco-doppler; il macchinario, collocato poi in una stanza totalmente asettica permette ai visitatori di ascoltare il suono del proprio sangue e riceverne il grafico che trova posto sulle pareti della stanza stessa. La struttura architettonica accoglie il suono del sangue come trasformandosi in un corpo vivo, la scoperta che dentro l’uomo c’è un rumore, uguale per tutti è il pretesto per una riflessione intorno alla pluralità dell’esperienza comunicativa e percettiva che si unifica nell’esperienza pacificatrice dell’arte, capace di accogliere le differenze.

  • Mostra: Il suono del sangue parla la stessa lingua
  • Anno: 2004
  • Curatore: Lorenzo Benedetti