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luca lagash + alex cremonesi
IO PUTTANA
Siccome io non spiego
Che cos’è l’amore
Ad ogni mio cliente
Che mi paga ad ore
Tu non raccontarmi
Cos’è una canzone
Ma dammi tre minuti
Che siano un’emozione
Siccome io non spiego
Che cos’è l’amore
A ognuno che mi prende
A ognuno che mi vuole
Tu non raccontarmi
Cosa pensa un cantautore
Ma dammi un ritornello
Spalancato sul mio cuore
Si continua a girare intorno all’oggetto del nostro amore, della nostra devozione con le parole, anziché sperimentarlo veramente.
Gli angeli trascorrono la loro esistenza facendo uno strepito che per noi è silenzio.
L’opera d’arte è l’inesplicabile dove tutto si spiega. È percepire lunghezze d’onda che alla coscienza comune non arrivano. Ciò che per tutti è muto è in realtà una voce, ciò che è silenzio è in realtà frastuono, perciò la parola che spiega è ridondante. Lo stesso Demiurgo che ha attuato la creazione non ha certo avuto bisogno di spiegarla.
In ebraico esistono due lati della parola: la amirà, la Parola che solo i Profeti possono cogliere; poi c’è il dibbur, che rappresenta quanto è detto in maniera percepibile.
C’è una formula usata di frequente dai Maestri: ki-vjakhol, “se così si può dire”. È una clausola di cautela, la quale avverte che il linguaggio raffigurando falsifica, e non può andare oltre l’allusione. È l’idea espressa da Kafka al termine del suo breve racconto intitolato “Prometeo”: “La leggenda tenta di spiegare l’inesplicabile. Poiché nasce da un fondo di verità non può che finire nell’inesplicabile”. Nel silenzio dell’inesplicabile.
È quanto esprime anche l’Infinito di Giacomo Leopardi, di cui Francesco De Sanctis scriveva: “Innanzi a lui non ci sono idee, ma ombre delle idee, non c’è il concetto dell’infinito e dell’eterno (...) perché non giunge fino al concetto e non dà alcuna spiegazione, vi alita per entro un certo spirito misterioso, proprio delle visioni religiose”.
Qui infatti non sono le lontananze dell’orizzonte a suggerire l’infinito ma anzi la loro esclusione, è la siepe che esclude l’orizzonte a darne il senso. È il limite vicino, posto dalla siepe, a preservare al nostro sguardo ravvicinato l’infinità dell’infinito. L’orizzonte sarebbe una falsa icona dell’infinito, in quanto non infinito. Così come tradizionalmente l’antico veggente non ha vista acuta, anzi è solitamente cieco; il profeta che opera con la parola non ha facilità di eloquio, anzi è balbuziente, impedito nel parlare, secondo il modello di Mosè, di Isaia, di Giona. È l’opera e non la parola, l’eloquio, la spiegazione su di essa a raffigurare la verità.
Gogol a suo tempo scriveva: “Io non voglio insegnare per mezzo dell’arte, l’arte è già un insegnamento”. Significa che, in un certo senso, è già simbolica. Spesso noi vorremmo che nelle nostre opere l’insegnamento fosse posto in primo piano, dimenticandoci del fatto che l’Arte è già questo. Non deve essere edificante, non deve essere retorica, non deve istruire, perché non vi è niente di peggiore di un uomo che ammaestra un altro.
INFO:
15 settembre h 19:00 - 16 settembre h 19:00
luca lagash + alex cremonesi
IO PUTTANA
Fondazione VOLUME!
via San Francesco di Sales, 86/88
00165 Roma
Tel. 06 6892431
Sito: www.fondazionevolume.com
Ufficio Stampa: Roberta Pucci – 340 8174090 press@fondazionevolume.com
- Mostra: IO PUTTANA
- Anno: 2017
Lange Thomas
La sfida affrontata dal pittore tedesco nella sua recente produzione, ed in particolare con questa opera, è quella di sperimentare una nuova possibilità interpretativa dello spazio declinando la propria prassi pittorica in un luogo architettonico tridimensionale, pur mantenendo fede alla sua cifra stilistica. Il concetto di Vuoto è liberamente ispirato al Caos delle antiche cosmologie greche per indicare il vuoto originario preesistente alla creazione del cosmo prima di costituirsi in forme stabili e definite. Nella filosofia antica il Caos è la materia informe e rozza a cui attinge il Demiurgo, un principio superiore per la costruzione del mondo ordinato. Per Lange il Vuoto è il caos della vita, una recondita dimensione ulteriore in cui si riversa disordinatamente il vissuto dell’artista manifestandosi attraverso la pittura in un’esplosione rutilante di colori e di immagini di attinenza memoriale. Con questo intervento l’artista ha immaginato di far entrare lo spettatore direttamente nel quadro, fra i meandri caotici della sua pittura, sollecitando un’interazione di impatto psicologico, ma anche fisica e sensoriale. L’idea di opera percorribile, nata incontrando le stanze di VOLUME!, prende forma attraverso un’azione pittorica straripante che si svolge come dialettica fra impulsi istintuali e lucida intenzionalità, ma mai in maniera totalmente astratta, coinvolgendo pareti, pavimento, soffitto e centinaia di elementi scultorei dispersi nello spazio, per tracciare un percorso ideale che dal caos conduce all’ordine. L’architettura si fa quadro, creando una cavità originaria, un “organismo” apparentemente informe e disorientante che è coerente con la volontà di Lange di far incontrare, in questa nuova fase della sua ricerca, la pittura con la terza dimensione attraverso un’azione impetuosa e trasfigurante.
- Mostra: Vuoto
- Anno: 2014
- Curatore: Davide Sarchioni e Fondazione VOLUME!
Langlands & Bell
Architettura come luogo di indagine della realtà umana, in cui individuare intrecci tra emotività del vivere e drammaticità del quotidiano. In questa direzione la coppia di artisti britannici Langlands & Bell ha orientato, da sempre, la propria attività fino a proporre negli spazi di Volume! la realizzazione di una struttura architettonica affrancata dalla consueta connotazione organizzativa dell’ ambiente, per farsi luogo mentale individuale. Il progetto eseguito ha assunto, infatti, la forma di un muro che non articola lo spazio, ma che lo integra a sé nel rispetto della irregolare nudità dell‘ambiente. La struttura sinusoidale in legno, dal delicato impatto visivo di accento minimalista, percorre il locale raccordando gli elementi architettonici, porte e finestre, lasciando sgombra solo la via di accesso. Attenti all’identità dello spazio espositivo, gli artisti hanno così creato, tra l’ambiente e il proprio lavoro, un gioco di rapporti dialettici di comunicazione e di educata sovrapposizione allo stesso tempo. È un volume che si genera in un altro volume e che crea una nuova configurazione spaziale. L’osservatore per abbracciarne la totalità è obbligato a percorrere il nuovo perimetro inscritto, rapportandosi ad esso. Coerenti con il proprio percorso creativo, Langlands & Bell hanno azionato una nuova rete di relazione tra persone e architettura mutando, temporaneamente, il rapporto con i consueti sistemi codificati che ci circondano.
- Mostra: Senza Titolo
- Anno: 2000
- Curatore: Mario Codognato
Laplante Myriam
L’arte, come la magia, la chimica, è capace di provocare negli individui alterazioni della percezione psico-sensoriale, conducendo a visioni altre, spesso sovversive, talvolta estatiche. Miryam Laplante, porta lo spettatore ad una riflessione che segue un doppio binario, quello più sottile, della relazione tra arte e scienza, in merito alla loro funzione sociale, quello icastico di una riflessione sul corpo umano, sulla natura come materia o al suo rapporto con la società, con l’autorità. Introducendo lo spettatore nei meandri di un immaginifico laboratorio di ricerca, Volume! si trasforma, in luogo di sperimentazione, fanno bella mostra strani esseri sotto campane di vetro, alambicchi, bollitori fumanti e teste in formaldeide; ciò che si testa è l’Elisir, siero vivificante, assunto attraverso cannucce da piccoli esseri zoomorfi che sembrano provenire dall’immaginario Borgesiano, mentre, a testimoniare il fallimento della pozione, le loro facce si scarnificano irreversibilmente. Ad aprire la mostra, una performance messa in atto dall’artista, spiega le connotazioni dell’alchimista che, sopravvissuto ad un esperimento, in seguito all’uccisione del suo gemello parassita, opera nell’intento di soggiogare gli esseri che crea, destinati paradossalmente ad una lenta distruzione. Attraverso un paradosso scenico, l’artista affronta una serrata critica ai metodi della globalizzazione, alle egemonie culturali e politiche, alle modificazioni genetiche e a qualsiasi negazione di libertà.
- Mostra: Elisir
- Anno: 2004
- Curatore: Lorenzo Benedetti e Teresa Macrì
Levini Felice
Talvolta l’arte è sogno sostenuto che interroga l’invisibile per cercarvi risposte all’esistenza ricorrendo ad un linguaggio proprio, fatto di immagini e parole che appartengono alla dimensione che abitiamo, quella terrena e visibile. È il gioco degli specchi, in cui ciò che appare irreale è il rovesciamento del reale liberato dalle sue scorie per portare con sé tasselli di verità infinitesimali. È questa l’essenza del lavoro di Felice Levini a VOLUME!, in cui utilizza lo spazio senza trasfigurarlo per costruire un luogo ideale, poetico e metafisico. Inventa una scatola ottica, una macchina anagrammatica della realtà, che porta con sé questioni sull’esistenza. All’interno di essa una sorgente, simbolo della continuità del tempo, dell’inizio e della fine delle cose, il mitico cavallo alato Pegaso, come necessità di non soccombere alle paure inconsce per combatterle con la riflessione, ed infine la domatrice di pulci, quale impossibilità di ammaestrare la natura, sono le indicazioni di Levini per preparare all’ultimo stazionamento. Qui l’artista allestisce una pittura tridimensionale con un pavimento a scacchiera e con un trono in bilico, su cui campeggia il grande dipinto del Papa rivolto di spalle con la scritta sibillina che dà il titolo all’intera opera. Non c’è non è la risposta finale ma è affermazione lapidaria che racchiude il mistero dell’esistenza, che nella sua incommensurabilità non può essere afferrata né dalla parola né dall’arte.
- Mostra: Non c’è
- Anno: 2004
- Curatore: Lorenzo Benedetti
LeWitt Sol
Sol LeWitt, all’interno di VOLUME! si è misurato con un’installazione tridimensionale e labirintica che ha coinvolto l’intero perimetro dello spazio espositivo. L’artista ha materializzato un’idea rendendola fruibile al visitatore, che si è aggirato tra i levigati muri lasciandosi guidare da essi. Simile ad un elementare ziggurat, fedele alle potenzialità ordinatrici del numero, l’installazione ha articolato l’ambiente con una serie di pareti, realizzate con blocchi di cemento bianco della misura standard dell’edilizia americana.
Il percorso, iniziato con un piccolo ingresso, si estende in un lungo tramezzo, per poi interrompersi a metà strada in un modulo trasversale di dimensioni ridotte, e per proseguire, quindi, in un indipendente cubo vuoto. Al termine del camminamento, la struttura ha assunto un’impostazione cruciforme con bracci degradanti in modo diverso verso il centro. L’organizzazione architettonica dello spazio è stata preservata dall’artista che, comunque, ha raggiunto con l’ambiente un’interazione di lieve fusione e differenziazione insieme, a cui ha contribuito l’altezza complessiva di un metro e sessanta. La misura, corrispondente al comune campo visivo, ha di fatto partecipato a restituire un intervento apparentemente incompiuto, non aggressivo e rispettoso dell’irregolarità dello spazio. Sol Le Witt ha dunque dimostrato un’ ipotesi di dialogo spaziale, il cui principio non è a livello costruttivo ma concettuale.
- Mostra: Senza Titolo
- Anno: 1999
- Curatore: Mario Codognato e Bruno Corà
Lim – Kirchhoff – Pancrazzi
Il progetto Interni Moderni di Kirchhoff, Lim e Pancrazzi, dopo una gestazione di due anni, si è risolto in un coro a tre voci con cui gli artisti, diversi per nazionalità e percorso artistico, hanno visualizzato le sottili esigenze moderne, non riducibili ai soli fattori puramente funzionali, quali comodità e comfort, ma più prossime alle annose questioni dell’ esistenza.
VOLUME!, continuamente alterato ed abitato da situazioni che durano il tempo necessario a non consumarsi definitivamente, con questo lavoro diviene il luogo ideale in cui l’arte, la libertà e la vita tornano ad amalgamarsi.
Una trasfigurazione quasi totale, che però preserva la struttura iniziale, fa spazio alle tre ipotesi che non si esauriscono entro il perimetro architettonico, ma demandano ad orizzonti più lontani.
VOLUME! ha momentaneamente riguadagnato la sua originaria identità abitativa, nello spazio ricreato da Lim, per esempio, in cui i banali bisogni del quotidiano inscritti sulle pareti e fluttuando nel vuoto, guadagnano consistenza e significato diversi. Kirchhoff, invece, inscenando l’ambiente di un albergo con tanto di maggiordomo performer, offre il paradosso di una situazione gradevole ma non a consumo di tutti.
L’ultima parola in Interni Moderni è di Luca Pancrazzi, che dietro una cortina, dove ci si aspetterebbe l’uscita, mini monitor alternano immagini di luoghi interiori e standard, riportando nella zona intima l’orizzonte dei tempi moderni.
- Anno: 2005
- Curatore: Angelo Capasso
Lopez Maider
Lopez pensa per la Fondazione VOLUME!, un singolare intervento di reimpostazione dello spazio, in un gioco di combinazione cromatica che coinvolge l’architettura del luogo, come luogo fisico e mentale. Pur evidenziando la struttura formale dello spazio, l’artista ne riscrive le coordinate, decostruendo la consueta percezione attraverso una traslazione e costruzione di nuovi piani mobili. Mattonelle colorate di dimensione variabile rivestiranno le pareti della galleria, e rimodelleranno lo spazio in un gioco di combinazioni. L’utilizzo della tecnica della ceramica, richiama la tradizione spagnola, italiana e portoghese, rimandando anche all’estetica islamica dei mudejar nell’arte cristiana . Le porte, che danno nome alla mostra, possono esser risistemate a piacere dal pubblico, generando molteplici combinazioni con la loro disposizione e consentendo diversi incontri tra gli spettatori. Esse si estendono anche allo spazio della galleria, alterandone la morfologia e creando un labirinto dalle varie direzioni.
- Mostra: Porte
- Anno: 2009
- Curatore: Irma Arestizàbal
Lorbeer Johan - Gagnon Claudie
La Fondazione VOLUME!, ha inaugurato il primo appuntamento del programma performativo One Night Stand, un nuovo progetto che nel corso dell’anno ha coinvolto, presso i propri spazi, performers di fama internazionale. La manifestazione, il cui titolo rimanda alla velocità di un amore consumato nel breve arco di una notte, riferendosi così alla durata delle azioni artistiche, si apre con Johan Lorbeer (Berlino) e Claudie Gagnon (Quebec).
Claudie Gagnon
Le renard et la dent di Claudie Gagnon comprende due tableaux vivants realizzati come libere rappresentazioni de La cura della follia di Hieronymus Bosch, e del dipinto di Otto Dix To Beauty. Oggetti di fattura artigianale, la partecipazione di figuranti e l’assenza di parola sono i semplici elementi con cui l’artista costruisce le sue performances, amplificandone il valore immaginifico e fantastico. A metà via tra le rappresentazioni teatrali del XVIII secolo e il cabaret degli anni ’50, le due azioni di Claudie ricordano gli sketches del teatro burlesco, e come al tempo del cinema muto l’azione sarà ritmata in diretta dal musicista Frederic Lebrasseur.
Johan Lorbeer
Tarzan / Standing Leg è il titolo dell’azione performativa di Johan Lorbeer, una disorientante e inaspettata relazione tra spazio ed essere umano che sfida le comuni leggi di gravità rimanendo saldo in posizioni apparentemente naturali. Lorbeer trasferisce corpo e spazio in un contesto surreale, trasformandosi in scultura e mettendo in discussione le più consuete modalità di osservazione dello spettatore. Con le sue Still-Life-Performances Lorbeer supera le categorie classiche della performance, che sconfinando nella “scultura umana” neutralizza l’azione con la durata della rappresentazione.
- Mostra: One Night Stand
- Anno: 2008
- Curatore: Myriam Laplante